Trekking è una parola entrata ormai nel linguaggio comune. È sinonimo di camminare in montagna, in campagna, insomma fuori città, alla ricerca di luoghi desueti, di antiche tracce lasciate dalla secolare attività dell’uomo, di bellezze naturali, di paesaggi...

 

È una fuga dalla vita frenetica quotidiana per assaporare il lento ritmo dei passi, per ritornare insomma – anche solo per qualche ora – a una vita antica.

 

È ritrovare un contatto diretto con la natura che abbiamo perso, ma che abbiamo stampato nel nostro DNA.

 

Se rimaniamo al suo significato letterale, Trekking significa piuttosto “seguire una traccia”: dai segni bianco-rossi verniciati sui tronchi degli alberi ai resti di selciato di una vecchia mulattiera. Il Trekker non sarebbe dunque colui che apre un sentiero – attività, questa, assai faticosa e piena di imprevisti – ma piuttosto colui che “sfrutta” sentieri esistenti, potendo perciò risparmiare le proprie energie per altri scopi, come l’osservazione della natura e degli antichi manufatti.

Al Trekker infatti non deve mancare il tempo per dedicarsi – a seconda degli interessi, e magari con l’uso di buoni manuali – all’osservazione delle tracce lasciate dagli animali, al riconoscimento di fiori, erbe, alberi, oppure degli antichi insediamenti umani, possibilmente aiutandosi con libri di storia locale.

 

Tutte le zone, anche quelle più vicine alla città, possono presentare motivi di attrazione e possono quindi essere valide mete per una bella camminata. Ogni località, poi, ha il suo o i suoi periodi dell’anno ideali per essere scoperta e percorsa. Non ci sono limiti stagionali al Trekking, e anzi può essere interessante osservare una stessa zona nelle varie stagioni: ora con la neve, ora avvolta nei colori dell’autunno...

 

Il lento incedere del camminatore è il ritmo ideale per riscoprire tanti luoghi anche vicini a noi, che di solito sfuggono al nostro sguardo frettoloso e “automobilistico”. È talvolta fonte di meraviglia scoprire a due passi da casa delle piccole “giungle” (quali ad esempio quelle rappresentate dalla vegetazione riparia), dei torrenti solitari dove regna il silenzio e dove gli animali selvatici ancora la fanno da padrone, dei piccoli angoli di paradiso insomma.

 

Camminando, potremo notare l’impronta che l’uomo ha impresso al paesaggio nel corso della sua storia: muri a secco, carbonaie, mulattiere sono tutti segni di una lenta opera di trasformazione che ha permesso ai nostri avi di sopravvivere pur nelle avversità di una esistenza a volte misera e difficile.

In definitiva questo nostro camminare è la ricerca di un rapporto più solido con il nostro passato.

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allenamento

 

Il Trekking non esige un grosso sforzo fisico, quanto piuttosto un’attenta osservazione di tutto ciò che ci circonda. È quindi un’attività che tutti possono praticare.

 

Tuttavia nonostante non richieda particolari doti fisiche, il Trekking è però pur sempre un’attività sportiva e come tale necessita di allenamento e l’osservazione di alcune semplici regole.

 

Chi inizia a camminare dopo un lungo periodo di inattività deve farlo con gradualità, iniziando a percorrere pochi chilometri con uno zaino leggero, quindi aumentando via via i tempi di percorrenza, il peso dello zaino e la pendenza da affrontare.

 

Per fare Trekking di più giorni su percorsi con forti dislivelli occorre essere ben allenati: anche il Trekker “della domenica” prima di affrontare simili prove deve allenarsi a portare a lungo zaini pesanti su sentieri in forte salita.

 

L’importante è comunque acquisire un proprio “passo”, senza forzare il fisico: è un classico errore del trekker neofita partire a tutta velocità, salvo poi doversi fermare a metà strada senza più fiato né “gambe”.

 

L’esperienza insegna ad acquisire un ritmo personale, che con adeguato allenamento potrà anche essere aumentato – ma non è indispensabile.

 

Quando la fatica si fa sentire, profonde e lente inspirazioni ed espirazioni ci consentiranno di ossigenare il sangue e di riacquistare il nostro equilibrio fisico.

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la carta dei sentieri

 

È fondamentale avere nello zaino la carta topografica della zona dove si va a fare Trekking; meglio se questa carta sarà stata studiata a tavolino, prima di partire.

 

Esistono ormai in commercio molte carte dei sentieri: perlopiù queste mappe usano come base le carte topografiche ufficiali, quali ad esempio le tavolette dell’IGM (Istituto Geografico Militare) o la cartografia edita dai vari enti amministrativi (Comuni, Regioni, Province). Su queste carte vengono riportati con adeguata simbologia i sentieri segnati sul terreno. Ogni sentiero è indicato con un numero e/o una sigla. Spesso sulla stessa carta per ogni sentiero sono riportati località di inizio, tappe intermedie, località di arrivo e tempi di percorrenza. Nelle carte dei sentieri montani non devono mancare i rifugi, i bivacchi ed altri ricoveri utili per l’escursionista soprattutto in caso di necessità.

 

Saper trarre da una carta topografica il maggior numero di informazioni – anche solo per sapere in che punto del percorso ci troviamo – non è semplicissimo.

Prima di tutto la carta varia a seconda della scala, che è il rapporto esistente tra una unità di misura sulla carta a la corrispondente distanza nella realtà. Ad esempio un centimetro su una carta in scala 1:25.000 corrisponde a 25.000 centimetri (250 metri) sul terreno.

 

Le carte usano segni convenzionali per riportare gli elementi della realtà. Di solito è presente una legenda dei segni utilizzati. Fra tutti i segni usati al Trekker interessano soprattutto le curve di livello: sono delle linee che uniscono i punti che si trovano alla stessa altitudine. Nel caso di evidenti rilievi esse si presentano come linee curve concentriche. Curve di livello molto vicine indicano una forte pendenza del terreno.

 

Così già con una rapida occhiata alla carta saremo in grado di capire se ci sono dislivelli da superare le loro difficoltà, e l’andamento complessivo del nostro percorso.

 

Saper leggere la simbologia usata nelle carte topografiche può essere utile per ritrovare i segni lasciati dall’uomo nel corso della sua secolare presenza. Ci riferiamo ad esempio ai mulini ad acqua, alle pescaie, ai terrazzamenti, ai tabernacoli, agli edifici oggi ridotti a ruderi, alle cisterne, ai pozzi, agli acquedotti, ai ponti…

 

Ritrovare queste tracce, che spesso la natura ha nascosto riappropriandosene, è fonte di soddisfazione e serve a capire come l’uomo ha sempre trovato nel suo ambiente l’occorrente per vivere, plasmando con fatica il paesaggio.

 

 

 

 

 

 

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segnaletica

 

Molti percorsi Trekking sono indicati da segnaletica bianco-rossa. È questo un simbolo ormai adottato a livello internazionale e usato da associazioni nazionali quali il CAI (Club Alpino Italiano). Questa segnaletica dipinta di solito con vernice su tronchi d’albero o sassi, su pali conficcati nel terreno recanti frecce o tabelle. Ogni sentiero è numerato e spesso definito da sigle, come GEA (Grande Escursione Appenninica), TL (Trekking Lunigiana), GT (Garfagnana Trekking) ecc.

Si possono trovare però anche altri tipi di segni, di varie forme e colori, tracciati da enti o gruppi locali che talvolta confondono un po’ il Trekker.

È di massima importanza saper riconoscere e individuare la segnaletica, per poter percorrere i sentieri programmati. Talvolta  la segnaletica è obsoleta, poco visibile, talvolta può essere stata cancellata. In caso di dubbio, soprattutto in presenza di nebbia o in caso di fitti boschi, è buona norma lasciare qualcuno all’ultimo segnale prima di mettersi alla ricerca del successivo, trovato il quale il gruppo si può riunire e procedere.

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tempi di marcia

 

È indispensabile calcolare a tavolino i tempi di percorrenza prima di effettuare un Trekking, se non vogliamo ritrovarci al buio o senza forze prima di arrivare alla meta. Per far questo possiamo adottare un metodo empirico ma efficace:

 

• misuriamo sulla carta la distanza da percorrere, magari con l’aiuto del curvometro (uno strumento simile a una penna, oggi anche digitale, che permette di misurare con una certa esattezza le distanze sulla carta semplicemente “percorrendo” i sentieri) oppure con un righello, tenendo conto che un percorso può essere in realtà molto più tortuoso e quindi più lungo di come appare sulla carta. Si può anche distendere un filo sul percorso segnato sulla carta, e quindi misurarne la lunghezza (da rapportare con la scala). Una volta determinata la lunghezza complessiva calcoleremo un’ora di cammino per tre chilometri in piano.

 

• Per ogni trecento metri di salita aggiungeremo un’ora.

 

• Per ogni ora di cammino sommeremo 15 minuti di riposo (che potranno anche essere concentrati in uno o due momenti).

 

Esempio: per un percorso di nove chilometri con trecento metri di dislivello in salita occorrono tre ore di percorrenza, più un’ora per la salita e un’ora per le soste: in totale cinque ore.

 

Ricordarsi che più numeroso è il gruppo e più si allungano – di solito – i tempi di percorrenza.

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cosa indossare, cosa portare

 

Scarponi

 

Esistono in commercio molti tipi di scarponi da Trekking, ognuno dei quali è adatto ad un determinato tipo di percorso.

Per percorsi estivi su terreni non particolarmente rocciosi sono consigliate pedule leggere in pelle e cordura.

Per percorsi invernali e/o in ambiente roccioso sono preferibili scarponi di pelle. Per affrontare neve ghiacciata o ghiaccio occorreranno scarponi molto robusti, che si possano attrezzare di ramponi.

Il rivestimento interno di gore-tex, ormai usato comunemente, consente di avere un piede sempre asciutto poiché questo materiale è impermeabile e al tempo stesso traspirante; ma con l’uso prolungato il gore-tex tende a logorarsi nei punti di attrito e perde la completa impermeabilità.

La suola deve essere ben scolpita: nonostante tutte le nuove mescole, il vibram va ancora per la maggiore.

Ma la cosa più importante per scegliere la scarpa è la misura: provate gli scarponi con un paio di calzini molto pesanti. Di solito occorre una misura in più rispetto a quella delle normali scarpe da passeggio.

Ricordiamo inoltre di non partire mai per un Trekking con gli scarponi nuovi di zecca, per non ritrovarsi con i piedi a pezzi dopo poco tempo, soprattutto se le nostre calzature non sono proprio leggere.

Gli scarponi nuovi andranno invece indossati in casa e in città per qualche tempo, prima di usarli per i Trek.

 

 

Vestiario

 

Il vestiario da Trekking deve innanzitutto essere comodo e non impedire i movimenti. Meglio evitare i pantaloni jeans e le camice attillate.

Un errore in cui incorrono spesso i neofiti è quello di vestirsi troppo durante l’attività fisica, provocando una eccessiva sudorazione. Conviene invece tenere nello zaino anche d’estate un maglione e una giacca a vento da indossare durante le soste, ma quando si cammina è buona norma avere un abbigliamento leggero e che mantenga la giusta temperatura corporea. Chi suda molto troverà giovamento durante le soste non solo nell’indossare un capo più pesante ma soprattutto nel cambiarsi la maglietta.

Durante l’inverno una maglietta sintetica traspirante garantisce la giusta temperatura, mentre il cotone dà una sensazione di freddo quando è intriso di sudore. La vecchia maglietta di lana della nonna ottiene lo stesso scopo, anche se impiega più tempo per asciugare.

Sono efficaci anche i capi di vestiario in laminato, che asciugano in pochi minuti. Di questo materiale esistono oggi camice e pantaloni.

Durante l’inverno, ad alta quota, o nel nord Europa, non dobbiamo sottovalutare la possibilità di repentini abbassamenti di temperatura. Occorrerà mettere nello zaino abiti pesanti: maglioni, guanti, cappello di lana o di pile. Quest’ultimo materiale, con cui vengono fatti vari capi di abbigliamento, consente di ottenere il massimo calore con il minimo peso e ingombro. La giacca a vento è indispensabile sia d’estate che d’inverno, meglio se in materiale impermeabile e traspirante.

Il cappello è un altro capo di cui non si può fare a meno: leggero, con visiera, per l’estate, pesante per l’inverno.

I calzini devono essere massicci, per permettere al piede di stare comodo senza troppo risentire delle asperità del terreno. Ne esistono vari tipi in materiale sintetico, rinforzati nel tallone e nella punta, appositamente realizzati per chi pratica il Trekking.

Gli occhiali da sole sono indispensabili per attraversare i ghiacciai e i luoghi innevati.

 

Zaino

 

Uno zaino troppo ingombrante sbilancia la marcia. Sono preferibili i modelli stretti e lunghi, con un bell’appoggio sui fianchi, spalline imbottite e reggimano. La maggior parte del peso deve gravare sui fianchi; lo zaino deve aderire al dorso e non sbilanciare all’indietro. Non deve sporgere in basso oltre il bacino.

La capacità dello zaino, misurata in litri, è in relazione al tipo di Trekking e quindi alla quantità di peso da portare. Uno zaino di 55 litri è adatto per Trekking di più giorni, potendo portare circa 15 kg di peso.

A questo proposito si dice comunemente che il peso massimo di uno zaino per una donna sia di 7-8 kg circa, per un uomo di 13-14 kg circa.

Il peso dello zaino può essere in parte “scaricato” usando i bastoncini da montagna. L’effetto di alleggerimento si ottiene usando un bastoncino per mano e imparando a camminare in modo ritmato.

Ricordiamoci che gli zaini non sono perfettamente impermeabili. Se da nuovi possono reggere bene un acquazzone, dopo un po’ perdono l’impermeabilizzazione. È quindi necessario acquistare un coprizaino e/o, per maggiore sicurezza, mettere il contenuto dello zaino in sacchetti di plastica ripiegati all’apertura e chiusi con un elastico.

Con l’esperienza impareremo a fare una feroce selezione degli oggetti da portare, eliminando il superfluo. Tanti piccoli oggetti, ognuno dei quali magari di solo pochi grammi, possono nell’insieme appesantire notevolmente lo zaino. Sono però indispensabili in ogni stagione e su ogni percorso i seguenti oggetti: coltellino multiuso, cappello da sole, giacca a vento, maglia pesante, cibi ipercalorici (marmellatine, frutta secca...), acqua, mantella, accendino, carta topografica, kit di pronto soccorso (cerotti, bende, disinfettante…). A tutto questo aggiungeremo gli oggetti che possono risultare utili a seconda dell’ambiente e della stagione, come creme protettive e occhiali da sole per la neve e i ghiacciai, un repellente per insetti in primavera-estate…

Naturalmente per Trekking di più giorni il contenuto dello zaino varierà a seconda del tipo di pernottamento, del numero dei giorni, della possibilità di trovare sul percorso sorgenti e punti di ristoro.

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cosa non lasciare

 

Lasciare un rifiuto, anche se biodegradabile, è sempre e comunque una forma di inquinamento. Bucce d’arancia, croste di formaggio, fazzolettini costituiscono come minimo una forma di inquinamento che possiamo definire “estetico”.

 

Gli animali che vivono liberi non hanno alcun bisogno dei nostri rifiuti alimentari: sono vissuti decine di migliaia di anni senza le bucce di mela pietosamente lasciate dagli escursionisti, e possono continuare a farlo. Anzi, dando da mangiare agli animali selvatici si può determinare una forma di dipendenza dall’uomo, che può provocare agli stessi animali dei seri guai.

 

Quindi: riportare a casa tutti i rifiuti. Prima di partire metteremo nello zaino un sacchetto di plastica per l’occorrenza.

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sì, mangiare... alimentazione trekking

 

Nello zaino del Trekker non deve mai mancare l’occorrente per recuperare velocemente le calorie perse per lo sforzo o per il freddo: vaschette di marmellata, frutta secca, barrette energetiche...

 

Nei Trekking più lunghi occorre fare dei pranzi leggeri ma energetici, e magari rimandare alla cena il pasto principale, in cui non dovrebbe mancare un buon minestrone per reintegrare i sali minerali dispersi.

 

Non bere alcool, anche quando fa freddo, poiché l’alcool provoca una rapida vasodilatazione, aumentando la possibilità di congelamento. È invece fondamentale bere molta acqua, soprattutto se fa caldo e se sudiamo molto. Lo stimolo della sete diminuisce con l’età, ma non per questo dobbiamo smettere di bere, poiché il nostro corpo durante l’attività fisica perde comunque liquidi, che devono essere reintegrati.

 

È possibile aggiungere all’acqua degli integratori. Col sudore infatti perdiamo sali minerali importanti, come il potassio, la cui carenza può causare dolori muscolari. Banane, arachidi, albicocche servono di solito a recuperare il potassio disperso con la sudorazione al pari di certi prodotti parafarmaceutici.

 

Diverso è il caso di carenze dovute a patologie, su cui si deve esprimere il medico. Il. medico dovrà essere informato anche nel caso di problemi pressori quando dovremo recarci ad alta quota. Dunque, non ci scordiamo che l'alimentazione per i trekking è alla base di un sano modo di vivere la nostra gita.

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orientarsi

 

Il sistema migliore per orientarsi è quello di seguire la nostra posizione sulla carta topografica man mano che procediamo.

 

Per far questo ci possiamo aiutare con punti di riferimento quali edifici, ponti, tabernacoli, sorgenti, attraversamenti di ruscelli, scarpate, crinali..., facilmente identificabili intorno a noi e sulla carta.

Naturalmente occorre una buona carta topografica, su cui sia accuratamente riportato il sentiero che dobbiamo percorrere; meno adatte sono le carte semplificate, che riportano solo i sentieri e pochi punti di riferimento.

 

La bussola è utile insieme alla carta per stabilire la corretta direzione di marcia, non facendoci ingannare dallo zigzagare dei sentieri di montagna. Ricordiamo che tutte le carte moderne sono orientate a nord, anche quando sulla carta non c’è alcun riferimento ai punti cardinali.

 

Se abbiamo l’altimetro – e se ci siamo ricordati di tararlo all’ultima quota nota, dato che questo strumento è sensibile ai cambiamenti meteorologici – possiamo avere un ulteriore dato di riferimento, importante per stabilire la nostra posizione sulla carta, su cui sono riportate le altitudini.

 

Se dobbiamo percorrere anche al ritorno il sentiero dell’andata, e se lo stesso sentiero non è ben tracciato o segnalato, conviene memorizzare dei punti di riferimento, cioè degli elementi del percorso da ritrovare nella fase di rientro: un particolare tronco, una strana pietra... È bene voltarsi ogni tanto indietro, poiché quello sarà il punto di vista che avremo al ritorno. In caso di mancanza di segnalazioni possiamo apporre all’andata, in certi punti cruciali come i bivi, delle frecce fatte di rami o degli “ometti” di pietra, cioè dei mucchietti di sassi. Tutti questi segnali ci saranno utilissimi sulla strada del ritorno.

 

Dove siamo?

 

Con la bussola militare (dotata di “traguardo”, una specie di mirino) è possibile “fare il punto”, cioè trovare sulla carta l’esatta nostra posizione. Per far questo è necessario avere individuato sulla carta due punti noti e visibili. Quindi con la bussola orientata a nord occorre “puntare” (traguardare) ciascuno dei due, prendendo nota della loro posizione in gradi rispetto al nord. Questa posizione andrà riportata sulla carta, tracciando una linea dal punto noto ai gradi riportati ai lati della carta topografica. All’incrocio delle due linee si trova la nostra esatta posizione. Questa operazione, non immediatamente semplice da effettuarsi, può servire se abbiamo necessità di determinare con grande esattezza dove siamo (ad esempio per comunicarla ai soccorsi in caso di nebbia o nell’impossibilità di fare segnali luminosi o di altro genere), in mancanza di altri punti di riferimento certi e vicini. Ma già l’aver ritrovato sulla carta due punti noti può servirci a individuare approssimativamente la nostra posizione ed a definire la direzione di marcia.

 

Tutta questa operazione, un po’ macchinosa, può essere evitata con l’uso di una apparecchiatura GPS (Global Positioning System), il “navigatore satellitare” che automaticamente fa il punto.

 

È sempre utile portarsi dietro un telefono cellulare funzionante e con buona carica, anche se non bisogna dimenticare che specialmente in montagna il segnale può mancare o essere oscurato da alberi, canaloni e altri ostacoli. Questi inconvenienti non riguardano invece i telefoni satellitari.

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in marcia!

 

Acquisire un ritmo costante è l’ideale per fare lunghi percorsi. È consigliabile non fermarsi troppo a lungo per non fare raffreddare il corpo, soprattutto d’inverno. Se si ha fame e non è ancora prevista la sosta, si possono mangiare – senza fermarsi – marmellatine, arachidi, albicocche essiccate, tavolette energetiche...

Per una buona marcia si deve mantenere il corpo eretto, oppure leggermente inclinato in avanti quando si è in salita o in discesa, e mai sbilanciarsi all’indietro. In salita appoggiare il peso del corpo sulla punta o sulla pianta del piede. In discesa molleggiare sulle gambe e non stare rigidi. In ogni caso va cercato il più sicuro appoggio, evitando pietre scivolose o instabili, tronchi, rami e radici affioranti. Ma soprattutto non si deve poggiare il piede dove non è possibile vedere, specie fra l’erba ai lati esposti dei sentieri montani. Quando non è possibile vedere il punto di appoggio, tastare bene il terreno col piede prima di caricarvi il peso del corpo. Nel caso in cui sia necessario usare le mani, cercare prese sicure: evitare rami secchi e rocce sconnesse o taglienti. Sulle strade carrozzabili tenere sempre la sinistra.

Non camminare mai con le mani in tasca oppure con la mani impedite da oggetti come binocoli, macchine fotografiche, telecamere, borracce... Se vogliamo usare la macchina fotografica o il binocolo occorre prima fermarsi, poi cercare una posizione sicura, magari divaricando le gambe. In nessun caso ci dovremo spostare mentre abbiamo lo sguardo impegnato.

 

Quanti siamo?

Mai andare soli in montagna: un incidente banale può trasformarsi in tragedia senza un compagno che ci possa aiutare.

Il numero ideale di persone con cui fare Trekking è di 5-6; gruppi più numerosi sono interessanti occasioni di socializzazione, ma possono ostacolare attività come ad esempio l’osservazione di animali.

Occorre di nuovo ricordare che più è alto il numero dei partecipanti più aumentano i tempi di percorrenza, poiché si sommano piccoli ritardi e contrattempi individuali.

 

Per chi vuole iniziare

Chi è interessato al Trekking e vuole cominciare a camminare può rivolgersi (anche solo per informazioni) ai gruppi Trekking che hanno di solito sede presso i circoli e le associazioni come Arci e Uisp, oppure alle varie sezioni locali del CAI.

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che tempo fa

 

Leggere il tempo

 

Prevedere il manifestarsi di perturbazioni può essere utile per evitare conseguenze a volte molto sgradevoli. Per fare “a breve” previsioni attendibili bisogna conoscere numerosi elementi meteorologici: le nubi, i venti, l’umidità, la temperatura, la pressione. Uno strumento molto utile per valutare  l’evoluzione del tempo è l’altimetro-barometro, che segnala le variazioni della pressione atmosferica e, nello stesso tempo, indica l’altitudine a cui ci si trova.

Un abbassamento improvviso della pressione è indice di perturbazione in arrivo.

 

Prima di affrontare Trekking più o meno lunghi o impegnativi è meglio comunque informarsi sulle previsioni del tempo diffuse dalla radio, dalla televisione o su Internet. Come sempre, è meglio affidarsi a siti seri e attendibili, anche se in verità molti sono quelli che si basano sulle elaborazioni dei maggiori centri di previsione.

 

Quando partire

 

Anche quando la neve ricopre i sentieri, il Trekker, debitamente attrezzato, può compiere interessanti itinerari. Il paesaggio innevato è molto suggestivo; l’aria tersa consente un’ottima visibilità del panorama.

 

L’aria fredda, temperata dal calore del sole invernale, è ottima per le escursioni. Unica pecca: la brevità delle giornate.

Non appena però le giornate si allungano e la temperatura si addolcisce i percorsi possono diventare più lunghi.

La primavera per il clima mite, né troppo caldo né troppo freddo, e per le giornate più lunghe si presta bene alle escursioni.

In estate sono ovviamente consigliabili percorsi montani, che garantiscono un clima più fresco. La lunga presenza del sole rende più belle queste passeggiate e garantisce un più ampio sfruttamento della giornata.

L’autunno ci ammalia con i suoi colori: la temperatura non è ancora rigida e l’aria fresca invita ai lunghi Trek.

Anche l’equipaggiamento sarà semplice; basterà coprirsi un poco più che in primavera.

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I fenomeni meteorologici

 

 

Caldo

 

Può essere un ostacolo alla marcia. Il sole può provocare eritemi solari, arrossamenti localizzati della cute che possono però complicarsi con ustioni maggiori, a volte con la comparsa di vesciche.

Nei casi più gravi si può arrivare a veri colpi di calore o di sole, che si manifestano con cefalea, vertigini, nausea, vomito e febbre alta.

Questi pericoli possono essere scongiurati evitando il più possibile una prolungata esposizione diretta, specie nelle ore più calde; in ogni caso si consiglia una buona protezione del corpo, sia per quanto concerne l’abbigliamento – indispensabile il cappello – che con l’uso di creme solari ad alto fattore protettivo.

Con il caldo occorre bere spesso e molto per reintegrare i liquidi dispersi col sudore. Sono da escludere le bevande gassate e quelle ghiacciate: l‘acqua rimane la più sana bevanda per chi cammina.

Col caldo conviene partire molto presto la mattina e magari passare le ore centrali della giornata all’ombra, per poi recuperare il tempo perduto sulla sera, approfittando delle lunghe giornate estive.

 

 

Freddo

 

Mantenere la giusta temperatura corporea è essenziale. Di fronte a variazioni della temperatura esterna, l’organismo provvede a mantenere costante la temperatura corporea consumando zuccheri e grassi.

Noi aiuteremo in questo il nostro organismo con una giusta alimentazione, con un abbigliamento adeguato, col movimento che istintivamente cerchiamo di fare quando abbiamo freddo: ciò provoca un aumento di consumo di sostanze nutritive da parte dei muscoli e un conseguente aumento della temperatura corporea.

Il pericolo più grave del freddo è il congelamento; interessa soprattutto le mani e i piedi. Il primo sintomo è dato dall’arrossamento della pelle e dal dolore intenso, e si cura con frizioni e massaggi, meglio se eseguiti con alcool (che non va invece bevuto!).

 

Nebbia

 

La nebbia costituisce uno dei maggiori pericoli per chi fa Trekking, specialmente in alta montagna, quando compare in banchi improvvisi e imprevisti.

Fenomeno comune in montagna in qualsiasi stagione, anche in estate, la nebbia, o meglio le nuvole basse, rendono difficile la vista dell’itinerario e, a lungo andare, disorientano anche chi è pratico della zona.

In questo caso è alto il rischio di perdere il sentiero segnato. Talvolta si renderà necessario mandare due escursionisti in avanscoperta, e muoversi solo quando l’avanguardia ha raggiunto il segnale successivo.

Anche se rallenta il ritmo della camminata, questo modo di progredire dà ottime garanzie per non trovarsi improvvisamente fuori percorso.

 

 

Pioggia

 

È inevitabile che, prima o poi, il Trekker si bagni.

Una soluzione “classica” è l’ombrello, che però è pesante, ingombrante (occupa sempre una mano) e spesso inutilizzabile per il vento. Si ricorre così alla mantellina in nylon, il cosiddetto “poncho”, che può coprire anche lo zaino.

Per quanto riguarda le mantelle e ogni altro impermeabile, è bene però sottolineare che impermeabilità e traspirazione sono difficilmente conciliabili: se non ci si bagna per la pioggia si finisce per fare il classico bagno di sudore. Un po’ meglio funzionano le giacche di materiale impermeabile e traspirante, dotate di cappuccio. Possono essere indossati anche pantaloni dello stesso materiale. Se si prevede pioggia è utile avere un cambio di abito, da lasciare in macchina e utilizzare al ritorno o da portare nello zaino.Un consiglio: gli scarponi inzuppati d’acqua si asciugano riempiendoli di carta di giornale pressata da sostituire ogni 3-4 ore.

 

 

Fulmini

 

I temporali, specie quelli estivi, violenti e improvvisi, portano con sé un serio pericolo per il Trekker: il fulmine.

I temporali si scatenano soprattutto alla fine del pomeriggio, per cui è conveniente partire presto la mattina.

Il fulmine segue generalmente il percorso più breve fra la nuvola e il suolo; ogni cosa che si eleva da terra (alberi, edifici alti, cime di monti, camini) può essere un bersaglio. Più l’oggetto è alto, più è vulnerabile. Alle prime avvisaglie è opportuno dunque scendere, abbandonare i rilievi marcati e portarsi in luoghi meno esposti.

Ugualmente d’obbligo è stare alla larga da da pareti rocciose, alberi, come pure dalle “vie ferrate” e dagli oggetti metallici, che sono conduttori di elettricità. Andranno evitate anche grotte e torrenti, per il pericolo di inondazioni improvvise.

 

 

Neve

 

La neve fresca offre un pessimo supporto, soprattutto se farinosa. Per non affondare è opportuno calzare le racchette da neve.

Quando la neve è vecchia assume una colorazione bluastra e camminarci è difficile e pericoloso.

Più dura e ghiacciata è, meglio funzioneranno i ramponi, che si rivelano indispensabili quando lo scarpone non fa più presa sulla neve. Assieme ai ramponi si usa la piccozza, con la quale fra l’altro si può arrestare un’eventuale scivolata. In questi casi sono utili le ghette, che possono servire anche su terreni fangosi e molli per non sporcarsi e bagnarsi i pantaloni. Inoltre impediscono alla neve di entrare negli scarponi e congelare i piedi soprattutto durante le soste.

È meglio evitare i pendii a rischio e gli itinerari noti per le valanghe, informandosi bene prima di partire.

 

La neve comunque rende la marcia più lenta; occorrerà perciò modificare i tempi di percorrenza.

buon viaggio...